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Se non è cotto per almeno 5-6 ore non chiamatelo spiedo veneto! Oltre alla qualità e alla provenienza delle carni selezionatissime che lo compongono è, infatti, il rituale della preparazione a rendere questo piatto tanto speciale. Oltre ad essere una delle pietanze più famose della tradizione regionale accanto a soppressa trevigiana, baccalà in umido, polenta e pastin, lo spiedo veneto rientra nell’elenco dei prodotti agroalimentari tradizionali elenco predisposto dal Ministero delle politiche alimentari. Potete gustarlo nelle numerose locande e osterie della zona, nei ristoranti di cucina tipica, o nelle sagre e feste di pittoreschi paesini dalle case di pietra, scuri dai mille colori e finestre piene di fiori che si affacciano su panorami mozzafiato delle Dolomiti.

Quest’anno l’ho mangiato a Cison di Valmarino, durante “Artigianato Vivo”, la fiera che annualmente popola il centro storico di piccoli bottegai, mastri artigiani, ceramisti, artisti del vetro, dei metalli, del legno, della pelle e del cuoio, artisti e turisti provenienti da tutta Italia.  Cison ha uno dei borghi più belli d’Italia e sicuramente è un luogo che merita una capatina se siete in zona, anche perché ci si arriva (da ovest) percorrendo la strada del prosecco e attraversando Valdobbiadene: distese sconfinate di vitigni ricoprono terrazzamenti e intere colline, disegnando un paesaggio mozzafiato.

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Tornando al nostro spiedo, sono stata fortunata, perché si potrebbe pensare che, essendo in definitiva “carne alla brace”, un posto vale l’altro per assaggiare questo piatto succulento. Non sempre però la carne è cotta al punto giusto, aromatizzata o morbida come dovrebbe: preparazione e cottura sono una vera e propria arte, praticata da veri e propri artigiani del gusto, che seguono con pazienza e dedizione la ‘ricetta’ tramandata da generazione in generazione.

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Spiedo Veneto

Per prima cosa c’è la preparazione della brace: 7-8 ore prima si accende il fuoco, utilizzando legna secca e non resinosa, come quella di carpino e faggio.

Pollo, maiale, animali da cortile – come faraone, conigli, capponi – volatili – quaglie, anatre e uccelli selvatici vari – capretto, agnello vengono poi finemente tagliati, in pezzi regolari (le “prese”), per assicurare una cottura uniforme. Vengono poi infilzati sugli spiedi di acciaio, separati da fette di lardo – le “lardèe” – aromatizzate con salvia e rosmarino, per assicurare la morbidezza nella cottura. La carne non deve essere condita: si aggiusta di sale solo da metà cottura in poi e, anche se c’è chi utilizza prosecco, birra o brodo per aromatizzare la carne, le uniche aggiunte autorizzate dalla ricetta autentica, sono pepe, olio di oliva extra vergine o di semi e vino.

Lo spiedo viene issato sul girarrosto e inizia la lentissima cottura a fuoco moderato.

Intant che ‘l spéo el gira, si fa attenzione a mantenere la fiamma regolare, si chiacchiera davanti al focolare con la tradizionale onbra de prosecco e si controlla la cottura con una forchetta, separando un pezzo dall’altro, verificando il colore e l’umidità dei componenti.

Dopo almeno – il tempo minimo per assicurare alle diverse carni una cottura lenta e omogenea, per dare croccantezza e colore – si fanno cadere sugli spiedi gocce di lardo bollente (”precot”).

La carne viene quindi tolta dallo spiedo e portata ancora calda in tavola, accompagnata da polenta – preferibilmente di farina bianca -, erbe cotte, fagioli, radicchio di campo e patate. Tutto annaffiato con del prosecco fermo o del vino rosso corposo. I bocconi di carne saranno croccanti ma al contempo morbidissimi e vi si scioglieranno in bocca, facendovi quasi commuovere!

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