Il Tamus communis è la pianta alimurgica dai mille nomi. Barbaforte, Sigillo della Madonna, Tamaro, Tanno, Cerasiola, Vite nera, Uva tamina, Viticella, etc. In Francia la chiama Herbe aux femmes battues, ‘erba per le donne picchiate’, denominazione dovuta agli impacchi fatti con la polpa grattugiata della radice e applicati su contusioni, ematomi e distorsioni. Dalle mie parti sono conosciuti come Rafani, e i germogli molto spesso vengono confusi con gli asparagi selvatici. Ogni primavera infatti, dalla radice spuntano getti eretti e flessuosi, molto simili ai turioni degli asparagi. A differenza di questi però, hanno le estremità incurvata verso il basso, si arrampicano su alberi e arbusti vicini, e possono riconoscersi dalle foglioline a cuore color verde scuro-violaceo.
Mentre la pianta e le bacche sono tossiche se assunte oralmente, le radici ricche di proprietà erboristiche (soprattutto per stimolare la circolazione periferica, per edemi, contusioni e gonorrea) e i getti sono ottime per frittate, risotti, paste e zuppe. Ad esempio, a Bronte e dintorni, gli ‘Sparaconi’, utilizzati come condimento per gli spaghetti, sono considerati un piatto tipico d’eccellenza.
Io li ho utilizzati per una frittata deliziosa, insieme agli asparagi selvatici.
Ho tolto la parte iniziale, più dura ed amara di rafani ed asparagi e li ho tagliati a pezzetti. Ho battuto 4 uova condite con sale, pepe e un po’ di parmiggiano, e ho messo il tutto in una padella antiaderente a fuoco medio. A metà cottura ho girato la mia frittata e l’ho servita come secondo del mio pranzetto primaverile, dopo gli gnocchi lunghi in cui li ho utilizzati per il sughetto, insieme ad asparagi, funghi e carciofi.
I rafani hanno un sapore molto deciso, a tratti amaro, che a me non dispiace. Se però volete spegnerlo un po’, è bene lessarli prima di utilizzarli.